Tziu Antoni (CAPOTTO)
ANTONIO FAIS (CAPOTTO)
BIOGRAFIA :
Tiu Antoni ( CAPOTTO) nasce a Desulo nel 1921 in una famiglia composta da 7 figli ( 3 femmine e 4 maschi) e lui è l' unico ad aver raggiunto quasi i cento anni.
Ha iniziato ad intraprendere l' attività di pastore all' età di circa 6-7 anni . Durante l' inverno iniziava a custodire e pascolare alcune pecore o capre per la provvista del latte invernale per la famiglia , mentre in estate si rifugiava con il padre in campagna all’ovile così da apprendere i primi insegnamenti del mestiere.
Il suo primo viaggio di transumanza fu nel 1929 all’età di 8 anni assieme al padre, al nonno e ad uno zio.
:<<Partivamo da Desulo prima dell’inizio dell’inverno ( entro e non oltre i primi di Ottobre) per andare a svernare nei pascoli di Buggerru, Iglesias , Domusnovas ,Villamassargia .Si andava fino a Teulada sempre a piedi con il bestiame avanti . Per arrivare a Teulada ci mettevamo sette giorni ; si rimaneva lì tutto l’inverno poi ai primi di Maggio si ripartiva verso Desulo>>.
Negli anni 1942-1943 ha fatto la guerra stando prima in Africa e successivamente in Inghilterra. Al suo rientro in Sardegna riprese la sua attività di pastore.
Attualmente si tiene occupato leggendo libri soprattutto di storia. Gli piace tanto guardare documentari di qualunque genere e per quanto riguarda i film preferisce quelli inerenti le due guerre mondiali, inoltre ama seguire le gare automobilistiche di Formula 1.
Quando penso ad Antonio mi viene subito in mente la citazione " Il vero eroe è colui che si adatta " e credo che la sua vita e la sua persona la rispecchino! E' riuscito infatti a superare eventi difficili grazie al suo spirito di adattamento trovando la strategia migliore per la sopravvivenza. Non mi scorderò mai quando mi racconto' che in Africa un giorno per poter vincere la sete dovette rompere il radiatore di una macchina per poter bere. Forse è proprio la grinta e la tenacia il segreto che lo ha portato ad arrivare quasi a cento anni.
Di seguito la sua intervista :
IL MACELLAIO
Dal 1942 fino ai primi mesi del 1943 ho fatto la guerra. Sono stato in Africa e precisamente in Libia ,ho girato tutta la Libia ,praticamente ,da Tripoli ad El Alamein .
Prima di partire mi chiesero :<< che mestiere fai>>? Io gli dissi :<<il macellaio>>, non volevo dirgli il pastore ( il mestiere che avevo sempre fatto ) e anche gli altri che erano con me risposero tutt’altra cosa. Quindi da Bengasi mi portarono a Martuba perchè sapevano che a Derna era richiesto un macellaio e vedendo i miei documenti realizzarono che lo ero; per questo motivo mi scelsero. Tra me e me mi dicevo: << Tanto a scuoiare una pecora o una capra sono capace , alla fine gran parte del lavoro del macellaio consiste in questo>>.
Nel campo eravamo circa in 200 e per i pasti erano necessari almeno 70 kg di carne .Ogni persona ne riceveva all’incirca 100 grammi a testa al giorno ,non ne davano tanta . Periodicamente ci recavamo dai piccoli pastori della zona per acquistare qualche pecora o qualche capra. Io ero “l'esperto macellaio” che doveva scegliere la qualità e stimare approssimativamente il peso dell'animale, in quanto non si aveva alcuna bilancia.
I soldi italiani nella Cirenaica valevano molto per cui i pastori , contentissimi del guadagno, spesso per lo stesso prezzo ci regalavano anche un agnello o un capretto.Da un paio di pecore o capre che ci vendevano guadagnavano i soldi da poterci vivere per parecchi mesi. Quei poveri pastori erano così contenti che non facevano altro che ringraziarci offrendoci sempre qualcosa in regalo.
Ricordo che una volta come battuta e naturalmente per scherzo, dissi a uno se per lo stesso prezzo volevano darci anche una “mambruca”, cioè una ragazza in sposa. Spaventato a morte e pensando che volessi prendergli veramente la figlia, si inginocchiò e cominciò a spergiurare che lui non aveva nessuna figlia. Ci rimasi un po’ male perché non mi sarei mai aspettato quella reazione, in quanto avevo buttato lì quella frase, pensando avesse capito lo scherzo, per cui lo rassicurai che il mio era stato solo un modo di dire per evidenziare che il costo delle bestie che stavamo pagando non era eccessivo.
IL PERIODO AFRICANO
Si viveva nelle tende , cosi come anche gli Arabi. Si sopportava il caldo. L’acqua era razionata , ce ne davano infatti un litro al giorno per bere e lavarci e a giorni neanche arrivava . Il bagno non l’ ho mai fatto in Africa ; solo se ti capitava di vivere vicino al mare potevi farlo, ma da noi il mare non c’era quindi rimanevamo sporchi .
Nel mese di Maggio del 1943 prima che ci catturassero gli inglesi con gli americani la mia compagnia era ridotta a un piccolo gruppo di circa 20 uomini. Vista la situazione di grande pericolo ci siamo diretti fino a una piccola piazzola di Capo Bono situata in una posizione strategica. Da questa postazione potevamo vedere da una parte il porticciolo della punta estrema della Tunisia più vicina alla Sicilia e dall’altra l’entroterra da dove sapevamo che ormai avanzavano lentamente ma inesorabilmente gli alleati.
La nostra speranza iniziale fu quella di trovare una nave che ci avrebbe potuto portare in Italia, così almeno ci era giunta voce tramite radio fante, cioè il passa parola tra noi soldati. Il porticciolo era deserto e al largo il mare pullulava di navi sbandieranti le bandiere degli alleati. Valutata la situazione e non avendo altra scelta decidemmo di prendere in considerazione come estremo riparo il nascondiglio provvisorio in un ponticello che avevamo avvistato prima.
Siamo stati in questa situazione per alcuni giorni e diverse notti. Durante una di queste ci fu un intenso bombardamento, il cielo si illuminava a giorno e il frastuono era enorme. Noi impauriti come non mai stavamo zitti senza poter proferire neanche un piccolo lamento in attesa dell’irreparabile. A un certo punto sentimmo qualcosa di pesante ruzzolare giù per la scarpata molto vicino a noi. Solo in quel momento, al culmine della resistenza umana, alcuni dei miei compagni mi si buttarono addosso urlando come dannati “adesso scoppia, adesso scoppia e siamo spacciati”. Non successe nulla; il frastuono finì e per nostra fortuna non scoppiò niente. Rimanemmo lì rintanati fino all’alba quando, dando uno sguardo all’esterno, vedemmo una ruota con un pezzo del semiassi di uno dei nostri camion. Tirammo tutti un grande sospiro di sollievo. L’aviazione degli alleati aveva bombardato soprattutto lungo la strada e le bombe avevano colpito qualche camion disintegrandolo e una delle ruote era finita nel canale vicino a dove eravamo rintanati noi.
LA PRIGIONIA IN AFRICA: IL VIAGGIO IN INGHILTERRA
Passò di lì un motociclista tedesco che ci informò che gli inglesi erano ad appena due chilometri dietro di noi. Non c’era bisogno che ci avvisasse perché da un piccolo cucuzzolo vedevamo già arrivare alcuni carri armati Inglesi che avanzavano in avanscoperta.
Non essendoci nessuna possibilità di difesa, nostro malgrado, prendemmo la decisione di buttare le poche e in quella situazione inutili armi, come qualche fucile, delle bombe a mano e una piccola mitragliatrice, e di arrenderci. Io e un altro compagno di sventura, preso il coraggio a due mani, legammo un pezzo di stoffa a un bastoncino di fortuna che avevamo trovato nei pressi, ci sdraiammo nella cunetta e sventolando quello straccio bianco ci arrendemmo agli inglesi.
Uno dei carrarmati si fermò proprio vicino a noi, ci puntò il cannone e prima di aprire un qualche sportello guardarono ben bene intorno, poi in tutta sicurezza uscì un ufficiale e senza scomporsi più di tanto ci ordinò di alzarci e di far uscire tutti gli altri dai fortuiti rifugi.
Si era ormai ai primi di maggio, e precisamente il 10 del 1943 quando finalmente ci siamo arresi agli inglesi.
Questi ci fecero salire sui nostri stessi camion che ancora funzionavano e ci scortarono tra due file di soldati Inglesi e Americani che ci puntavano i cannoni dei carri armati finché non siamo arrivati nei pressi di Tunisi, dove fummo bloccati e dove scoprimmo che c’erano tanti altri militari che erano stati fatti prigionieri.
Qui ci fecero scendere dai camion, ci perquisirono e ci tennero bloccati in un campo all’aperto per tutta la notte. La mattina seguente ci incolonnarono trasferendoci a piedi ben oltre Tunisi, per oltre venti o trenta chilometri, dove c'era un altro campo di prigionieri Italiani e Tedeschi.
All’inizio mi hanno portato in Algeria e da lì caricato su un treno diretto in Marocco, precisamente a Casablanca in cui c’era un accampamento americano fatto appositamente per i prigionieri.Eravamo tutti in piedi, stipati come sardine, circa cinquanta prigionieri per vagone. Poco prima di iniziare il viaggio ci consegnarono due scatole; in una c'era roba da mangiare come carne in scatola in quantità così abbondante da rimanere, nonostante la fame, molto meravigliato; nell'altra invece c’era del pane, zucchero e caffè, biscotti tipo gallette, sigarette e materiale per uso personale, compresa anche la carta igienica. Una cosa mai vista prima nell’esercito Italiano. Ci guardammo tra di noi esterrefatti e cominciammo a pensare che forse non tutti i mali arrivavano per nuocere.
Rimanemmo a Casablanca circa una decina di giorni ,poi ci caricarono in una nave inglese scortati dagli americani. Ci dissero che volevano portarci in America però nel tragitto un giorno vidi il sole a mezzanotte e mi sono detto :<< ma dove siamo>>? e uno rispose :<< siamo vicino all’America>> ! Probabilmente la nave cambiò rotta per motivi sconosciuti dirigendosi verso i paesi nordici e poi riscendendo verso l’Inghilterra.Dopo un paio di giorni ci scaricarono a Liverpool in Inghilterra.:<<Boh io non so che giro ha fatto quella nave>>. Il viaggio duro’ dal 10 Giugno fino al 29 Giugno (giorno di San Pietro).
IL PERIODO INGLESE ( TONBRIDGE)
In Inghilterra rimasi tre anni. Il primo periodo ci facevano fare tanti tipi di lavori. Aiutavamo a caricare o scaricare qualche camion di merce, oppure si andava nel bosco vicino al campo a lavorare la legna, trascinandola con un cric idraulico e accatastandola, pronta per essere poi caricata sui camion. I campi base distribuiti in tutto il Regno Unito erano più di quattrocento e ciascuna città pur potendo avere diversi campi aveva un proprio numero. Il nostro era il n°40 e si trovava nel kent alla periferia della città di Tonbridge non molto distante da un altro campo di prigionia nel territorio del Somerhill.
Dopo l'armistizio dell'otto settembre del 1943, firmato dall'Italia con gli alleati anglo/americani, siamo stati radunati nel campo e divisi in due gruppi: in uno andavano tutti quelli che si dichiaravano antifascisti e nell'altro quelli che ancora parteggiavano per il fascio. La maggior parte dei prigionieri scelsero di essere contro il fascismo. Ci fu subito comunicato che noi antifascisti potevamo muoverci liberamente mentre gli altri dovevano sottostare ai controlli rigidi delle guardie.
Noi eravamo liberi di andare da soli ai campi di lavoro e nelle libere uscite serali. Infatti potevamo uscire per andare a cinema, fare delle passeggiate in città o prendere un caffè in qualche locale. Eravamo insomma abbastanza liberi di muoverci. Il regolamento ci imponeva il solo obbligo di essere la mattina presto pronti per recarci al lavoro.
La paga era di dieci scellini ogni settimana, metà erano soldi veri, mentre l'altra metà erano dei soldi finti, erano cioè delle fish di materiale plastico, da spendere nello spaccio del campo. I soldi non erano tanti, ma anche le spese erano poche, anche perché il vitto e l’alloggio ce l’avevamo, per cui riuscivo a mandarne molti anche a casa.
Nonostante ci fosse in guerra, in questo paese tutto funzionava a meraviglia. I treni erano sempre puntuali. Si lavorava per quel numero di ore e poi ci si riposava. Ogni mattina le famiglie che ordinavano il latte fresco lo trovavano puntualmente sempre alla stessa ora sul davanzale della finestra o sull’uscio della porta. Il cambio dei soldi e il servizio postale funzionavano molto bene, infatti tutti i soldi che periodicamente spedivo, sono sempre arrivati puntuali a mia madre a Desulo. C’è stato solo un caso, quello di un'ultima sterlina spedita nel mese di febbraio del ’46, quando la guerra era ormai finita da un anno, che non è mai arrivata a destinazione e che mia madre non ha mai potuto riscuotere. Non si è mai potuto appurare se fosse dipeso dalle poste Inglesi o da quelle Italiane.
Il campo era molto bello, si trovava ai piedi di una collinetta immerso in un boschetto di abeti. Gli edifici erano dei capannoni lunghi venti metri circa e coperti completamente di lamiera molto spessa ricurva a semicerchio fino a terra e che in passato erano serviti ad accogliere anche i militari Inglesi. Ogni capannone poteva contenere circa cinquanta persone. Aveva due ingressi, due o tre finestroni laterali per parte apribili a vasistas e molto sporgenti e all’interno due grandi stufe a carbone alle due estremità e le brande con gli armadietti e i comodini. Alcuni capannoni adibiti a laboratori per sarti o a sale giochi di intrattenimento erano divisi di lungo in due con un muro centrale e completamente tappezzato di attaccapanni.
Per molto tempo non ho potuto comunicare con la mia famiglia ; avevo però la possibilità di scrivere qualche lettera e qualcuna mi e’ arrivata ,dopo il 1944 pero’, dopo l’armistizio del settembre 1943.
Nel 1946 ritornai in Sardegna a fare il pastore e qualche altro mio compagno andò in miniera.
Il SEGRETO
:<<Il segreto? E chi lo sa qual’è !Il segreto per arrivare alla mia età, non si sa ! Ci si puo’ arrivare o no ,hai capito? Ora ti senti bene e magari tra un mese ti senti male e sparisci>>. Non dipende dal mangiare , noi abbiamo sempre mangiato regolare ,mangiato carna di pecora ,di maiale ,capra , vitello.Non e’ che una è meglio dell’altra, mangiavi il tanto che potevi mangiare sia dell’una che dell’altra e basta.
Io ti dico che si vive meglio ora e non prima. Quando ero piccolo io fino al 1940 c’era la fame ,eravamo sempre sporchi e carichi di pidocchi !Non si poteva neanche lavare il vestito che indossavamo quando partivamo per la transumanza nelle zone del campidano e ce l’avevi indosso fino al mese di Maggio. Una volta arrivati in campidano lì casa non ne trovavi e ci coricavamo trovando rifugio nei cespugli come le bestie.Non credere che avevi la casetta con la luce ; ti facevi qualche baracca con dei rami e frasche ma quando pioveva entrava l’acqua, entrava il vento, ed era così.
IL RAPPORTO CON LE PERSONE
Con le persone puoi parlare anche oggi bene , pero prima parlavamo piu’ seriamente del lavoro che si svolgeva. Adesso non è piu’ cosi’! Ora se parlo di sport mi rispondono ma se parlo dei mestieri che si facevano a quei tempi non ne capiscono niente e pensano :<<ma guarda questo fesso >>!.