Tia Giovanna (Rospo)
GIOVANNA ROSA BUSIA (ROSPO)
:<<Ti voglio raccontare perchè mi chiamo Giovanna Rosa: mammai Serusi (mia nonna) aveva una figlia che era morta e si chiamava Giovanna Rosa ed io so anche una battorina di quella Giovanna eh…
E Giovanna Bussia l’appo vida in sa pratha,
E Giovanna Bussia isvettande pulìa,
L’appo vida in sa pratha pulìa prus de tatha>>.
Biografia
Tia Giovanna nasce a Fonni il 29 luglio del 1914 ed il giorno seguente è stata battezzata .
La sua famiglia era molto numerosa , era composta infatti da 8 figli di cui 5 femmine e 3 maschi . Non è mai stata sposata ed ha dedicato gran parte della sua vita al lavoro e alla preghiera.
Da Novembre a Maggio vive in campidano e passa le giornate ascoltando radio Maria , leggendo e chiacchierando con i nipoti e pro-nipoti che ama osservare curiosamente quando lavorano in campagna. Ha da poco iniziato a realizzare un centrino e per fare in modo che abbia la forma perfettamente rotonda ha pensato bene di prendere come punto di riferimento i cerchioni della ruota della macchina del pro-nipote. Le estati le trascorre a Fonni e le piace tanto conversare con i compaesani .
Credo che tia Giovanna sia la “medicina”che ognuno di noi dovrebbe avere in casa. Ebbene si io la definisco “la cura” , la cura efficace contro la noia, lo sconforto e qualsiasi lamentela. Con lei i tablet ed i videogames sarebbero superflui perché con il suo buonumore incanterebbe chiunque e con la sua voglia di scoprire sempre cose nuove riempirebbe le giornate di ognuno .
Quando andai via dalla sua casa nel salutarla mi disse : io appartengo ad un altro mondo e se tu dovessi andare in America non riusciresti a trovare un’altra come me!
Di seguito la sua intervista:
:<<Quando ero piccola io si lavorava tanto perchè i “tempi erano così così” .Ho iniziato a lavorare a 6 anni prevalentemente nelle campagne e quello che facevo solitamente era zappare (marrare )e mietere (menthare). Per raggiungere questi posti andavamo a piedi , quindi partivamo dal paese verso le zone tra Fonni e Mamoiada ("Sa Conca de Bachis") oppure verso quelle di Monte Spada ("Gennaventossa" ), ("S’isciandula").
“SA LETHIA”:
Durante il periodo della mia infanzia l’acqua non era a portata di mano come lo è ora e per questo andavamo tutti i giorni al fiume , in particolare : “ a sa e Grommeru, “a Orvalle”, “Taletho”, “Guspene”, Ghistorrai” con un cesto in mano(" in d’una coffihedda in manos ").
Al fiume si andava principalmente perchè facevamo “Sa lethia ”( un miscuglio che si usava per lavare “la roba” ) : prendevamo un contenitore ("lappiolu" ) e dopo averlo riempito d’acqua aggiungevamo della cenere (hiniscia) che si metteva poi a bollire. Il tutto veniva poi versato su un cesto fatto di canne dove all’interno veniva sistemata con cura la roba da lavare e sopra questa veniva messo un sacco o del tessuto in modo che l’ acqua venisse filtrata dalla cenere. Versata poi sa Lethia, la roba veniva portata al fiume per risciaquarla.I panni li lavavamo a mano perchè le lavatrici allora non c’erano.
“ Sa Huppidinedda ” :
Ho vissuto il periodo della guerra.Io sono del 1914 e la guerra c’è stata nel 1918. Quel periodo era così così , poi ha cambiato ed eravamo contenti perchè per esempio e’ iniziata ad arrivare l’ acqua prima nei vicinati ("trihingios") e poi nelle case.
Prima di allora si andava a prendere l’acqua dalla fonte in “sas huppidinedda”; ora invece apri il rubinetto e hai l’ acqua in casa ( "iscraes su ciurru e ahattas s' abba"). Mi ricordo che in casa avevamo una serva perché essendo numerosi in famiglia serviva aiuto e quando questa se ne ando’ mia madre mi fece un contenitore per l’acqua (“huppidinedda”),avevo sei anni.
Andavamo a “Gutirillai” a portare l’acqua e rientrando a casa ogni tanto mia madre si fermava e mi toglieva il contenitore ("huppidinedda") dalla testa, ci riposavamo un po’ e poi ripartivamo verso casa. Che tempi! non mi sembra neanche vero!
S’attittu ad Antoni Mula :
Ritornando al periodo della guerra , mi ricorderò sempre di mio zio Antonio vestito da militare in “sa loggia e sussu de mammai Coinu” (nell'ingresso del portone di mia nonna). Era bellissimo. A questo proposito mi ricordo di un “attittu” a lui dedicato che venne cantato quando io ero bambina:
S’uspidale de Bologna gia’des proffetau.
S’uspidale de Bologna d’ha mirau sa mongia.
Giai das’proffetau da sa mongia mirau.
A es’venniu a mudu as giumpau su mare portu.
A es’venniu a mudu a mortu Antoni Mula .
Giumpau a mare portu Antoni Mula mortu.
E’ intrande in sa orte de su nostru giggiu,
E’ intrande in sa orte c’ha battiu sa morte.
Uddu nostru giggiu c’ha sa morte battiu.
Cessu cessu a errore Antoni aunca e’.
Cessu cessu a errore Gessue’Fracone.
Mortu C’udi.
Antoni aunca e’Fracone e Gessue’.
IL PANE:
Ai miei tempi il pane lo facevamo in casa e impiegavamo solitamente 15 giorni. Il procedimento era così: si metteva l’orzo in forno e una volta tolto gli scarti venivano buttati ( “si pruhavada”) e poi quello che si otteneva si portava così al mulino per macinarlo. A Fonni c’erano i mulini e quelli che mi ricordo erano: quello di Brina a Mameli e poi quello di Antoneddu Mariolu dove solitamente andavamo noi. L’orzo macinato veniva poi setacciato a casa con dei setacci per essere piu’ pulito (“s’isgrangiavada e sedethavada”) e si ottenevano queste farine : “sa tipe”, “su ihargiu” e poi “su poddine”. Le prime due erano quelle più grezze. Invece “dae su poddine” si otteneva il pane più bianco e migliore perché questa farina era più pregiata.
Arrivare a 100 anni :
Il segreto per arrivare a 100 anni? : ah quello lo sa Dio, perché chiedi a me e non chiedi a lui? io non ero cattiva eh...
Posso dire che comunque sono arrivata a questa età tenendomi sempre occupata perchè quando c’era da lavorare lavoravo sempre e quando non lavoravo mi tenevo impegnata facendo altre cose come cucire o leggere.
Insomma il tempo lo impiegavo bene , mi piaceva stare nei vicinati a parlare con la gente. Prima si “trattava” di più con le persone perchè in paese in “sos trihingios” era sempre pieno di gente e noi trattavamo con tutti e la nostra piazza era sempre piena.
Poi per quanto riguarda il cibo noi mangiavamo quello che c’era: ricotta ( "soru"),quagliato ("aggiaeddu"),pane con formaggio ,sevade (sevadas) e poi la roba dell’ orto: cipolle,patate ,fagioli.
Noi andavamo a “Thaletho” perchè avevamo un pezzo di terra e là piantavamo piselli.Quando facevamo il percorso per andare all’ orto mi ricordo raccoglievamo e mangiavamo delle erbe selvatiche tipo “sa Marraola” ed erano cose buone.Ora però si sta meglio, forse anche troppo, “però serviva davvero il cambio di vita” da quando io ero piccola ad oggi.